La storia dei videogames inizia negli anni Cinquanta. Dall’avvento del “personal computer”, che ha portato la rivoluzione tecnologica nelle case si è passati all’era degli smartphone, veri e propri “promotori” di attività e informazioni utili per l’utente da avere sempre con sé. Nell’ambito dell’intrattenimento mediatico si è assistito ad un ampliamento dei confini: dalla grafica in due dimensioni si è passati al 3D e all’uso di impianti che riproducono l’audio delle sale cinematografiche nella comodità del proprio salotto; inoltre, le “sfide” tra giocatori non sono più condizionate da filo e joystick: è possibile che il proprio avversario viva in un diverso angolo del mondo e che, nonostante lingua e fuso orario differenti, ci si possa connettere anche attraverso l’uso delle cuffie, scambiando i reciproci commenti durante il match.
Le questioni legate allo studio delle interazioni tra uomo e videogames si sono ridotte, storicamente, all’analisi dell’impatto negativo sulla salute, evidenziando il rischio di incorrere in una dipendenza o di sviluppare disturbi del sonno e dell’alimentazione e perfino l’epilessia. Studi più recenti hanno associato l’uso dei videogames ad un miglioramento in specifici contesti di riabilitazione, malattia cronica e lunghe degenze, ad esempio, con il miglioramento delle funzioni cognitive e motorie nel Parkinson e nella malattia di Huntington, e nella formazione clinica come “simulatore” per l’apprendimento di tecniche chirurgiche. Malgrado l’attenzione dedicata alla salute generale, è drasticamente inferiore il numero di studi che si è occupato di indagare l’impatto sulla funzione sessuale, nonostante l’approfondita conoscenza dei fattori psicobiologici che influiscono sulla risposta sessuale e che risultano coinvolti anche in molte funzioni utilizzate durante l’intrattenimento elettronico.
A tentare di dare un contributo in questa direzione è l’articolo recentemente pubblicato sul Journal of Sexual Medicine ad opera del gruppo di ricercatori italiani coordinati da Sansone. Lo studio ha coinvolto 396 uomini di età compresa tra i 18 ed i 50 anni reclutati tramite il web, ai quali è stato chiesto di compilare due questionari validati sulla funzione sessuale, in particolare indagando l’andamento del desiderio, l’eventuale presenza di difficoltà di erezione o di eiaculazione precoce. I gruppi sono stati strutturati dividendo i giocatori, ovvero coloro che si intrattengono in media da più di 1 ora fino a più di 6 ore al giorno, dai non-giocatori, coloro che hanno dichiarato di non giocare mai o di giocare in media meno di 1 ora al giorno.
Dall’analisi dei risultati è emerso che i giocatori incorrevano meno dei non-giocatori nella possibilità di soffrire di eiaculazione precoce e manifestavano minori livelli di desiderio sessuale. La spiegazione è di natura prettamente ormonale: coloro che trascorrono più tempo nel gioco elettronico manifestano alterazioni nella recettività alla dopamina, che risulta centrale nella risposta eccitatoria e nell’orgasmo; l’ipotesi del diminuito desiderio riscontrato nel gruppo di players, invece, sarebbe legata all’aumento della produzione di prolattina, generato dallo stress della competizione virtuale.
Le interessanti dimensioni messe in luce dallo studio pongono diverse curiosità da indagare in lavori futuri: sarebbe importante, infatti, capire se la funzione sessuale varia tra giocatori che utilizzano tale attività con scopi differenti, ad esempio tra coloro che giocano per noia, per passione o per scaricare la tensione accumulata negli impegni quotidiani; sarebbe interessante, inoltre, mettere in luce eventuali differenze legate al genere e alla fascia di età.
In conclusione, dunque, è bene sottolineare quanto l’uso dei videogames, sempre più presente soprattutto fra i più giovani, possa effettivamente avere ripercussioni nell’ambito della salute sessuale e rendere quindi i giocatori più consapevoli dei rischi cui vanno incontro. Dal punto di vista clinico è utile poi prevedere e attuare un intervento specifico in questo ambito, di supporto all’individuo.
Ringrazio per la collaborazione la Dott.ssa Elisabetta Todaro