Quando si parla di psicoterapia per la popolazione LGB (lesbiche, gay, bisessuali) si fa riferimento a livello scientifico ad una terapia affermativa, un approccio basato cioè sulla crescente consapevolezza del disagio che una persona appartenente a queste minoranze sessuali può provare a causa dell’ambiente eteronormativo, che vede cioè nell’eterosessualità l’unico naturale esito dello sviluppo psicosessuale. Tale approccio terapeutico, che ha come obiettivo il rinforzamento della persona e l’auto-accettazione del proprio orientamento sessuale, è fortemente caldeggiato dalle maggiori organizzazioni della salute mentale internazionali, tra cui l’Associazione degli Psicologi Americani, ed è confermato dal nostro Ordine degli Psicologi Nazionale come l’unico intervento possibile ed efficace per migliorare il benessere degli omo e bi-sessuali.
Un approccio controverso, ormai vietato e che dovrebbe essere abbandonato già da tempo, consiste invece nel promuovere il cambiamento dell’orientamento sessuale cercando di “trasformare” un omosessuale in un eterosessuale. Nonostante la letteratura abbia già mostrato come tali interventi cosiddetti “riparativi” siano contro ogni etica, inefficaci e potenzialmente nocivi, esiste tuttora un filone di studiosi, soprattutto negli Stati Uniti ma con seguaci anche in molti altri Paesi tra cui l’Italia, che continuano a promuoverne l’utilizzo. Il fenomeno è fortemente collegato alla dottrina cristiana, che parte dalla linea di pensiero che le persone LGB siano peccatori da recuperare e da riportare all’interno dell’unico modello accettabile: quello eterosessuale.
Alcuni scandali legati all’uso di questa terapia sono stati scoperti in ambiente cattolico, come ad esempio quello dello scorso anno a Medjugorje, grossa meta di pellegrinaggio religioso, dove sembra siano stati organizzati gruppi di terapia per la conversione dell’omosessualità.
Sottolineando, ovviamente, che questa visione dell’omosessualità è del tutto arcaica e non conforme agli standard attuali di scientificità che la vedono come uno dei possibili orientamenti sessuali, ci sembra opportuno commentare un recente studio condotto tra membri del movimento dei Mormoni, una delle correnti neo-evangeliche della Chiesa cristiana, particolarmente diffuso negli Stati Uniti. La ricerca, pubblicata recentemente sul Sex & Marital Therapy, ha coinvolto circa 900 persone appartenenti alla Chiesa Mormona. Emerge una grande diffusione dell’approccio riparativo in questo gruppo, presente in circa l’80% delle psicoterapie effettuate dai soggetti. I risultati confermano quanto già indicato dalle linee guida: non solo il trattamento risulta inefficace perché in gran parte dei casi l’orientamento sessuale rimane immutato, ma più di un terzo dei soggetti coinvolti considerano questo approccio moderatamente o gravemente pericoloso. In alcuni soggetti questo percorso ha portato a una sorta di accomodamento ma ciò risulta più plausibile per coloro che si identificavano come bisessuali. Per la maggior parte dei casi ciò che viene interpretato come cambiamento non è altro che basato su una certa possibilità già preesistente di provare un interesse sessuale per entrambi i sessi. Sappiamo, infatti, che l’orientamento sessuale è un continuum che va dalla totale omosessualità alla totale eterosessualità.
Ancora una volta viene confermata quindi l’inutilità e la pericolosità di questo approccio che, tentando di modificare l’orientamento sessuale degli omosessuali, non fa altro che peggiorare il benessere di persone che già con difficoltà lottano tutti i giorni per farsi accettare da una società che tuttora fatica nel riconoscer loro diritti inalienabili come la costruzione di una famiglia e che non meritano di ricevere un’ulteriore vittimizzazione, per giunta illegale.
Ringrazio per la collaborazione il Dott. Stefano Eleuteri