Il tema delle motivazioni per cui gli esseri umani hanno rapporti sessuali è ricco di aspetti. Il percorso evolutivo compiuto dall’uomo nei secoli lo ha portato, infatti, ad intessere attività sessuali per finalità diverse rispetto alla sola continuità della specie. L’avvento dei contraccettivi orali e le complessità poste dalle società moderne, che posticipano l’autonomia economica e la stabilità lavorativa individuale, hanno portato la sessualità ad essere sempre più frequentemente una scelta moderata dal desiderio, dalla volontà, e sempre meno dall’inevitabilità biologica di tipo darwiniano.
In tale contesto culturale può essere, dunque, ancora più interessante conoscere meglio i casi in cui la verginità corrisponde a delle motivazioni, a delle scelte e non solamente a situazioni di restrizione culturale e rigide caratteristiche prescritte per il modello maschile e femminile.
Una ricerca degli statunitensi Sprecher e Treger, pubblicata recentemente sul Journal of Sex Research, si è concentrata sull’analisi delle motivazioni e dell’impatto sociale associate alla verginità di un gruppo di studenti del college, con una attenzione alla variabile storica. Gli autori, infatti, hanno ripetuto nel corso degli anni i medesimi obiettivi della ricerca, utilizzando gli stessi strumenti di indagine (un questionario) e selezionando con uguali criteri i partecipanti agli studi. I ricercatori hanno, infatti, differenziato tra gli studenti che non hanno mai avuto esperienze sessuali penetrative, coloro che non hanno mai avuto contatti sessuali di alcun genere, e coloro che avevano avuto contatti manuali e orali con un partner. Il medesimo studio è stato ripetuto in 4 periodi storici (1990-1995; 1995-2000; 2000-2005; 2005-2012), facendo emergere significative differenze.
Le due ragioni principali che motivano i ragazzi nella scelta di appartenere alla minoranza degli studenti che non hanno esperienze sessuali durante gli anni del college sono: “perché non ho una relaziona abbastanza lunga/perché non mi sento abbastanza coinvolto emotivamente” e “perché ho paura delle gravidanze”, mentre quelle con minore concordanza sono state “perché mi sento in imbarazzo ad avere rapporti sessuali” e “perché non lo desidero”.
A partire da questi primi aspetti, sembrerebbe, quindi, che la sessualità venga avvertita più importante per le sue valenze affettive che di esperienza e crescita individuale, affianco all’essere considerata un rischio dal quale difendersi con l’astinenza, più che con le giuste precauzioni.
Per quanto riguarda le differenze di genere, le ragazze hanno riportato punteggi più alti nelle motivazioni legate alle credenze personali, alla mancanza di affettività nella relazione e alla paura, mentre i ragazzi quelle dell’avere partner titubanti rispetto al sesso.
L’unica variabile che ha rivelato le variazioni più significative attraverso le diverse epoche considerate nello studio è quella della paura. Tra i ragazzi, infatti, quelli appartenenti alla fascia 1995-2000 hanno riportato quest’ultima come motivazione principale al non avere rapporti sessuali. Gli studiosi interpretano questo dato come una risposta alle campagne di sensibilizzazione a seguito della diffusione dell’HIV alla fine degli anni ’90.
In conclusione, è possibile considerare come alcuni degli stereotipi influenzino in modo trasversale chi fa scelte diverse rispetto ai comportamenti sessuali; potremmo chiederci se siano gli stereotipi stessi, con la loro rigidità, ad essere responsabili di una visione così rischiosa della sessualità, avvertita come un’area di danno più che di salute e benessere. La questione che forse rimane più in sospeso è allora capire quanto posticipare un’area evolutiva così centrale per la socialità e la personalità di un ragazzo sia un modo per rinforzare il proprio sistema di valori, oppure se si tratti di un disinvestimento e di un ritiro dovuto alla difficoltà di gestire le parti più irrazionali e incontrollabili di se stessi.
Ringrazio per la collaborazione la Dott.ssa Elisabetta Todaro