Uno dei dibattiti infiniti nel campo di ricerca in via di sviluppo della medicina sessuale riguarda il modo in cui genetica ed esperienze (natura o cultura) contribuiscono al comportamento sessuale. L’omosessualità è uno di quei campi in cui la ricerca genetica si è maggiormente indirizzata, anche per cercare di risolvere quello che viene definito un “paradosso Darwiniano”: come è possibile che un tratto come l’omosessualità, non utile alla prosecuzione della specie, rimanga stabile, a livello di percentuali, nel corso del tempo e nelle varie popolazioni?
Risolvere questo enigma è un obiettivo non solo delle scienze sessuali ma di quelle biologiche in generale: qual è lo scopo “evoluzionistico” dell’omosessualità? Le ricerche condotte con metodologie basate sulle famiglie o sui gemelli (che dovrebbero aiutare a discernere se un fattore deriva dai geni trasmessi o dall’ambiente in cui siamo cresciuti) hanno prodotto risultati consistenti relativamente al fatto che la genetica influenzi la sessualità maschile: sembra più frequente trovare coppie di gemelli omozigoti entrambi omosessuali, rispetto alle coppie di gemelli eterozigoti. Questo dato suggerisce che in qualche modo l’influenza genetica, maggiormente rappresentata nei gemelli omozigoti rispetto a quelli eterozigoti, possa giocare un ruolo attivo nella costruzione dell’orientamento sessuale. Purtroppo non abbiamo dati simili per l’omosessualità femminile che resta ancor più nebulosa.
Uno studio recentemente condotto su circa 2.500 gemelle inglesi ha provato ad aggiungere qualche informazione a quelle già esistenti. La ricerca ha valutato, oltre alla omosessualità, la non conformità di genere nell’infanzia (ovvero quanto le donne fossero state mascoline) ed il numero di partner sessuali. Nelle coppie di gemelle è stato riscontrato che la mascolinità nell’infanzia era associata in una delle gemelle alla omosessualità femminile mentre, nelle donne eterosessuali, a un maggior numero di partner sessuali nell’arco della vita.
In questo caso gli autori ipotizzano che alcuni dei fattori genetici responsabili dell’omosessualità femminile siano gli stessi che esistano in un maggior numero di partner nelle donne eterosessuali. Alcuni geni potrebbero, da un lato, favorire lo sviluppo dell’omosessualità e dall’altro, modificare il comportamento sessuale anche nelle donne eterosessuali. Torna dunque in gioco l’aspetto culturale, quello delle esperienze, che potrebbe giocare un ruolo importante nel fare in modo che si sviluppi uno dei due percorsi evidenziati. Nella scienza attualmente si parla spesso di multifinalità, riferendosi al fatto che un fattore può determinare diversi esiti incrociandosi con altri fattori esterni e con altri tratti del singolo individuo. Per l’orientamento sessuale potremmo trovarci di fronte a un fenomeno di questo tipo.
Non siamo ancora in grado di spiegare accuratamente le origini dell’omosessualità e sicuramente servono ancora molti studi su questo argomento. Tuttavia esistono alcune evidenze rispetto ad un coinvolgimento della genetica in questo campo, ma ad oggi si può ancora sottolineare come il dibattito su questo argomento si giochi ancora di più a livello politico e giornalistico rispetto alle informazioni scientifiche a disposizione che sono piuttosto scarse. Sicuramente chi ritiene ancora che ci sia qualcosa di non “naturale” nell’omosessualità può iniziare a ricredersi: d’altronde se è un comportamento presente in molte specie animali e iniziano ad esserci conferme di implicazioni genetiche che servono a stabilizzare la percentuale di questo comportamento nell’uomo nel tempo e nello spazio, perché continuare a pensare, come alcuni ancora pensano senza alcuna base scientifica, che possa essere una deviazione o un “vizio” dovuto alla “corruzione” dei costumi sessuali?
Ringrazio per la collaborazione il Dott. Stefano Eleuteri